Il Desiderio
Vorrei condividere questo interessante articolo pubblicato da Treccani.
Inteso come pulsione di natura emozionale che spinge l’essere vivente alla ricerca di quanto possa soddisfare un suo bisogno fisico o spirituale, il desiderio presenta una dimensione sfuggente, difficile da definire e misurare. La stessa etimologia del termine – dal latino de-, e sidus, “stella”, letteralmente, “cessare di contemplare le stelle a scopo augurale”, nel senso di trarne gli auspici e quindi bramare – allude più alla distanza tra il soggetto e l’oggetto di desiderio, e al moto dell’animo che li lega, che alla natura dell’oggetto stesso. Vincolato al registro del piacere e del dolore, ciascun individuo tende ad appagare le esigenze primarie legate alla sopravvivenza e a costruirsi un proprio universo di significati che rimandano alla dialettica natura-cultura. Per la gamma delle configurazioni in cui si esprime, e per la sua attinenza alla sfera della soggettività, il desiderio rimane un problema aperto che investe vari campi, dalla biologia all’antropologia, alla filosofia, alla religione. Letto in chiave fisiologica, il desiderio sessuale può essere incluso tra le motivazioni omeostatiche volte a ricondurre l’organismo a uno stato di benessere; nella prospettiva psicologica, esso è attivato da stimoli di carattere affettivo che rinviano all’immaginario, ai ‘fantasmi mnestici’ della persona. Configurazioni significative nel rapporto organismo-ambiente Umano, e perciò vincolato alla coscienza di una condizione finita, precaria, e rivolto, in virtù di un’incessante ricerca dell’oggetto atto a soddisfarlo, a risolvere le tensioni e inquietudini che da quella coscienza discendono, il desiderio, relativamente alla sua base fisica, compare, nell’evoluzione animale, prima dell’uomo. Ciò avviene in parallelo con l’organizzazione strutturale del sistema ipotalamico-limbico e l’acquisizione della capacità emozionale di valutare qualitativamente lo stato dell’organismo nel suo rapporto con l’ambiente riguardo il piacere e il dolore. Nella sua accezione più generale, il desiderio rappresenta una funzione della vita emozionale, l’espressione di una tendenza a ‘significare’ le pulsioni organismiche, di origine intrinseca o estrinseca, sulla base di un codice qualitativo (e quantitativo) che riconosce il suo fondamento biologico nell’attività, filogenetica e ontogenetica, dei centri del piacere e del dolore. L’introduzione di parametri qualitativi nell’organizzazione del sistema vivente amplifica la dinamica del rapporto tra organismo e ambiente, anche se, sul piano comportamentale, esso può essere ricondotto più semplicemente a schemi di tipo ‘appetitivo’ e ‘avversativo’. Attraverso la pulsione desiderante, l’esigenza primaria di un adattamento omeostatico viene a essere finalizzata alla esplorazione e realizzazione di tutte le possibili configurazioni di rapporto significative, ossia dotate di valore emozionale, tra potenzialità del sistema nervoso e opportunità ambientali. Oltre a configurazioni omeostatiche, in grado di soddisfare bisogni primari che assicurano la sopravvivenza dell’individuo e della specie, se ne delineano altre non omeostatiche (per es., la curiosità esplorativa, il gioco, gli affetti), riconducibili all’investimento di un’eccedenza emozionale orientata verso uno stato di equilibrio che si può definire come ‘piacere di stare al mondo’. Il desiderio tende così verso un equilibrio di livello superiore: oltre al soddisfacimento dell’esigenza di cibo, alla riproduzione e alla difesa dai pericoli, funzione propria del desiderio è di promuovere una ‘collusione’ emozionale con l’ambiente, nonché l’ottimizzazione delle potenzialità specie-specifiche e individuali. Con la vita emozionale, la strutturazione e l’organizzazione funzionale del sistema nervoso dipendono, in misuracrescente lungo la scala dei Vertebrati, da meccanismi epigenetici, connessi al graduale sviluppo di strutture differenziate a partire da cellule indifferenziate e morfologicamente omogenee. Tali meccanismi determinano una varietà individuale resa poco evidente dai comportamenti specie-specifici, ma che si esprime in una gamma pressoché infinita di configurazioni significative e collusive tra organismo e ambiente. Il desiderio è la pulsione, emotivamente connotata, che sottende la realizzazione di queste configurazioni e dunque il prodursi di una soggettività integrata in un suo ambiente. Nei Vertebrati ciò avviene secondo due linee evolutive. La prima è rappresentata dagli animali solitari, che, raggiunta la maturità e fatta eccezione per le stagioni degli amori, non manifestano bisogni sociali. Per essi il piacere di stare al mondo è di tipo ‘monadico’, riferito solitamente a un territorio (fig. 1). La seconda è riferibile agli animali sociali, tra cui si instaurano vincoli affettivi (fig. 2). Questa linea raggiunge la sua espressione più compiuta nei Primati superiori. In virtù della socialità affettiva, l’individuo si pone al servizio del gruppo e dà luogo a un’organizzazione gerarchica fondata sul riconoscimento del ‘valore’ del singolo. Le due linee evolutive, che seguono l’una il potere individuante, l’altra il potere socializzante del desiderio, si ricongiungono nell’antropogenesi in forza di un programma emozionale binario (piacere-dolore), che porta all’acquisizione della coscienza di sé e dell’altro, e al dispiegamento delle potenzialità individuali attraverso le capacità dell’immaginazione e del pensiero astratto, attivate e vincolate dalla cultura. Programmato da una logica binaria, il desiderio umano si presenta dunque come pulsione tendente a realizzare la massima varietà individuale – quella per cui ogni soggetto costruisce un suo mondo di significati, manifestando una inconfondibile personalità – entro un ordine sistemico, che è proprio della cultura e dell’organizzazione sociale cui appartiene, il cui equilibrio omeostatico postula una normalizzazione, ossia una riduzione della varietà. Riduzione funzionale al bene comune, tuttavia sempre precaria, poiché l’ordine culturale, nel suo trasmettersi di generazione in generazione, rivela una tendenza inerziale che l’ordine della natura, combinando il patrimonio genetico della specie umana e attivando ‘nuove’ potenzialità, pone in tensione. La pulsione desiderante umana si oggettiva, così, attraverso un’incessante mediazione tra natura e cultura: mediazione che, nel corso della storia, appare sempre pervenire a una qualche soluzione dialettica tra le diverse valenze ‒ comunitarie e individualistiche ‒ che sottendono quella pulsione, ma che conosce anche situazioni drammaticamente conflittuali. Se si prescinde dall’assumere il desiderio umano come pulsione ciecamente egoistica e onnipotente ‒ una minaccia, insomma, da frustrare ‒ il suo significato, benché filogeneticamente comprensibile, appare nondimeno molto problematico. Occorrerebbe, forse, parlarne come di un ‘mistero’ e tener conto che l’emozionalità umana, vincolata al registro del piacere e del dolore, è però strutturata da un’intuizione affatto singolare, specie-specifica: quella dell’infinito temporale. Intuizione che impone a ogni individuo di esprimersi nell’arco di un’esperienza finita e al tempo stesso aperta su due fronti: quello di un passato irreversibile, di cui egli è erede e testimone, e quello di un futuro che gli viene, sì, incontro, ma celando, con ciò che egli diventerà, ciò che non potrà mai accadere, cioè sopravvivere ai ‘suoi’ giorni. Per questo il desiderio umano, radicando l’individuo nel suo tempo e nel suo ambiente, non è né può essere immune dall’angoscia esistenziale, che si anima comunque di una speranza di sopravvivenza riposta nella memoria dei posteri o in un essere infinito. La dimensione sessuale
L. DINAMICHE FISIOLOGICHE E PSICHICHE
Il desiderio sessuale costituisce l’aspetto più sfuggente della sessualità umana: è squisitamente soggettivo, difficile da definire e da misurare. L’intensità e la frequenza con cui il desiderio si manifesta sembrano rispondere a caratteristiche notevolmente ‘dimorfiche’, ossia differenti tra uomo e donna, dovute anzitutto a ragioni ormonali e poi a variabili socioculturali: storicamente, l’uomo è stato incoraggiato a esternare il proprio desiderio, la donna, al contrario, a reprimerne con pudore l’espressione. Questa diversità educativa e comportamentale, ora molto attenuata ma non scomparsa nelle società moderne occidentali, permane invece fortissima in altri contesti culturali. S. Freud (1923) usa il termine libido (v.) come sinonimo di desiderio sessuale per indicare l’espressione dinamica della pulsione sessuale nella vita psichica, vale a dire una sorta di energia mentale che alimenta la pulsione sessuale. In un’accezione più ampia, C.G. Jung (1928) definisce come libido l’energia psichica presente in tutto ciò che è desiderato, che è appetitus, in un senso anche, ma non necessariamente, sessuale. Dal punto di vista sessuologico, l’espressione più convincente è quella del fisiologo R.J. Levin, che definisce il desiderio sessuale come uno stato mentale insoddisfatto, di variabile intensità, creato da stimoli esterni (attraverso i sensi) o interni (fantasia, memoria, associazioni psichiche), che induce la sensazione del bisogno di condividere un’attività sessuale (usualmente con l’oggetto di desiderio) per soddisfare il bisogno stesso (Levin 1994). Tale formulazione ha il merito di dare consistenza al termine desiderio, riportandolo alle sue matrici biologiche, sensoriali, oltre che psichiche, mentali. Gli organi di senso sono fortemente implicati nel fenomeno libidico. L’odore, per es., connota l”identità olfattiva’ di una persona e ne rivela la forza d’attrazione, fatta di ‘feromoni’, sostanze di richiamo sessuale, e di secrezioni sudoripare e sebacee che ne definiscono una sottile e speciale riconoscibilità; si associa a emozioni profonde, alla memoria, alla nostalgia, all’atmosfera che cattura il soggetto nella sfera di attrazione determinata dal profumo dell’altro; esalta le caratteristiche estetiche e sensoriali della cute, concorrendo a quell”attrazione di pelle’ che rappresenta uno dei più potenti stimolatori del desiderio. A questo si aggiunge il gusto, il ‘sapore’ dell’altro, quale si esprime nel bacio, la forma più umana di intimità affettiva, oltre che sessuale. L’olfatto, il gusto e anche il tatto costituiscono il ‘canale cenestesico’, la via privilegiata per accendere il desiderio e l’affettività. Egualmente importante, e per alcuni prioritario, è l’udito: le vibrazioni della voce, la tonalità emotiva, più ancora del contenuto verbale, possono accendere il desiderio, anche a distanza. Da ultimo la vista, detonatore per eccellenza del desiderio maschile. Gli organi di senso sono quindi da ritenere tra i principali fattori che alimentano la libido, rendendola contesto-dipendente (Graziottin 1996); la loro recettività ai segnali sessuali viene biologicamente modulata dagli ormoni sessuali. Insieme, e variamente combinati secondo le inclinazioni personali, i sensi costruiscono negli anni lo scenario mentale di riferimento di ciò che è fisicamente attraente nell’altro. Uno scenario molto plastico, flessibile e mutevole, com’è la mente umana, in base alle esperienze affettive e sessuali del soggetto, le quali concorrono alla dimensione motivazionale-affettiva e cognitiva del desiderio stesso. A provocare le complesse dinamiche motivazionali contribuiscono, in modo determinante, i processi intrapsichici. L’oscillare continuo tra memoria e oblio seleziona, per es., quali e quante immagini sensoriali resteranno impresse nel cervello come attivatori erotici forti (formando il ‘fantasma erotico primario’, che si struttura in genere nella fase peripuberale o dell’adolescenza), e, viceversa, quali e quante verranno cancellate, oppure ‘sepolte’ nella parte meno accessibile della mente. Affetti, emozioni e il sentimento di amore ‘vestono’ a loro volta le immagini di significati individuali e relazionali, arricchendo ulteriormente la gamma psichica del desiderio attraverso la nostalgia, lo ‘struggimento’ e quei più sottili slanci che animano il desiderio di intimità emotiva, oltre che fisica. Fattori neuropsichici e motivazionali possono concorrere a una forma speciale di amore-passione, in cui il desiderio, nelle forme estreme, dense di illusioni e proiezioni, si avvicina al ‘delirio’ (gli ‘stati passionali’ degli psichiatri della fine del 19° secolo). In questo scenario psichico ritroviamo gli elementi che concorrono all’immaginario erotico, ossia l’insieme di immagini psichiche che più potentemente accendono il desiderio. Esse costituiscono una sorta di album, o biblioteca mentale specializzata, le cui immagini hanno la peculiare capacità di attivare, insieme al desiderio, anche i processi neuropsichici, nonché ormonali, nervosi e vascolari, che coordinano la funzione sessuale nell’uomo e nella donna. Fanno parte dell’immaginario erotico tre diverse modalità psichiche: i sogni erotici; le fantasie sessuali diurne involontarie, che affiorano alla mente mentre si è impegnati in altro; infine, le fantasie sessuali volontarie. In studi recenti (Levin 1994), la specifica attivazione dell’immaginario erotico viene definita eccitazione mentale (mental arousal) e tenuta distinta dal desiderio, che l’alimenta e la precede.
2. ASPETTI MOTIVAZIONALI E COMUNICATIVI
Dal punto di vista della motivazione il desiderio sessuale può essere considerato l’espressione di tre grandi componenti: lo stimolo biologico istintuale, lo stimolo motivazionale affettivo, lo stimolo cognitivo a mettere in atto un comportamento sessuale. a) Lo stimolo biologico istintuale tende, attraverso la procreazione, al mantenimento della specie. Si tratta di un processo che viene specificamente attivato a livello cerebrale dagli ormoni sessuali, e in modo particolare dal testosterone, in entrambi i sessi. Al processo biochimico endocrino che modula il desiderio sessuale partecipa una varietà di ormoni: gli estrogeni, che nella donna agiscono come fattori neurotrofici e psicotrofici, oltre che come responsabili dei caratteri sessuali primari e secondari; il progesterone, che ha un ruolo tendenzialmente ‘sedativo’; la prolattina, che nei due sessi blocca il desiderio non appena superi i livelli normali; gli ormoni tiroidei, i quali, se sono carenti, impediscono la libido, mentre, quando sono in eccesso, si limitano a una generica accelerazione dei processi psichici, non specificamente sessuali; l’ossitocina, la quale rappresenta il mediatore biochimico più importante dei legami affettivi connessi alla sessualità oltre che il segnale di ‘sazietà’ sessuale (Pfaus-Everitt 1995). Della componente biologico-istintuale del desiderio fanno parte il livello costituzionale (aspetti neuroendocrini), i fattori stimolanti (farmaci, droghe, talune malattie psichiatriche) e, infine, i fattori inibenti (farmaci, droghe, malattie fisiche e mentali). Una completa assenza di desiderio, accompagnata da inibizione sessuale generale, con carente risonanza psichica di emozioni e situazioni potenzialmente sessuali, caratterizza la condizione comunemente nota come ‘frigidità’, che può essere dovuta a cause biologiche e psicosessuali. Nei casi di mancanza oppure di forte attenuazione di desiderio, si tende generalmente a isolare l’aspetto psicologico-relazionale, sottovalutando quello fisico, e ciò vale soprattutto per la donna; al contrario, l’aspetto biologico va sempre indagato, perché il corpo gioca un ruolo importante in tale fenomeno: alterazioni ormonali quali la carenza di estrogeni (ipoestrogenismo), presente nei blocchi mestruali ‒ da dieta, stress fisici o psichici ‒ e in menopausa, possono bloccare, o comunque frenare, sia il desiderio sia la risposta di eccitazione e lubrificazione fisica vaginale. Gli estrogeni sono i fattori ‘permittenti’ che consentono al VIP (Vasoactive intestinal peptide, il più potente mediatore chimico dell’eccitazione fisica) di tradurre il desiderio sessuale in risposta fisica genitale (Levin 1992). In quanto legato a fattori ormonali, che si riducono con l’età, il desiderio sessuale tende biologicamente a diminuire in età avanzata. b) Lo stimolo motivazionale affettivo è collegato mediante il ruolo della fantasia al bisogno di attaccamento e di amore. In tale prospettiva, B. Spinoza afferma nell’Etica (1677, 3, 36) che il desiderio è “la tristezza che riguarda la mancanza della cosa che amiamo”. Contribuisce a questo aspetto del desiderio una serie di elementi: l’identità sessuale (identità di genere, di ruolo e di meta sessuale); la qualità delle relazioni affettive precedenti, che incidono sulla capacità di fiducia, di intimità e di abbandono; le motivazioni non sessuali al comportamento sessuale (ansia, sentimento di solitudine, abitudine, esigenza di confermare la propria identità o dimostrarsi la propria normalità, bisogno di umiliare o essere umiliati, di ottenere vantaggi: sentimenti, emozioni e motivazioni che inducono un comportamento sessuale senza che vi sia un reale desiderio sessuale fisico). Queste variabili sono fondamentali nel modulare la percezione del piacere e del dolore sessuale e anche la qualità stessa della risposta fisica e della soddisfazione a essa legata (Graziottin 1996). Negli aspetti relazionali della componente motivazionale affettiva vanno incluse le dinamiche di coppia, che possono variare notevolmente l’intensità e l’espressione del desiderio, nonché la ‘reale’ desiderabilità del partner: la mancanza di igiene, di cura di sé, di attenzione al proprio essere fisicamente desiderabile, oltre a problemi di salute o sessuali del partner, possono annullare il desiderio del soggetto, anche in presenza di un buon legame affettivo. c) Lo stimolo cognitivo a mettere in atto un comportamento sessuale si fonda sul concetto che un individuo ha di ciò che ci si aspetta da lui e dei rischi connessi allo stesso comportamento sessuale. Si tratta di un meccanismo basato sull’analisi e sul controllo dei fattori che inducono il comportamento sessuale e di quelli che lo sconsigliano. Proprio perché evolutivamente tardivo, quest’ultimo aspetto è il più vulnerabile all’irrompere (acting-out) dei fattori istintuali e affettivi. Costituiscono un esempio gli incontri ad alto rischio di trasmissione di malattie indotte per via sessuale, in cui l’irruzione istintuale scardina il comportamento di evitamento, e quindi protettivo, coerente con la valutazione cognitiva del rischio. Di conseguenza il soggetto assume comportamenti obiettivamente pericolosi, dei quali è consapevole ma che, tuttavia, è incapace di modificare. Si deve tener conto anche del fatto che rischio e trasgressione sono tra i più potenti afrodisiaci di tipo cognitivo-motivazionale dell’eros umano: essi attivano, infatti, le motivazioni antiomeostatiche del desiderio e del comportamento sessuale, caratterizzate dalla rottura degli equilibri precedenti e tipiche degli atteggiamenti ‘esplorativi’, che sono volti alla ricerca di stimoli nuovi, di piacere, di una diversa conoscenza di sé. Oltre che nelle sue valenze motivazionali, il desiderio sessuale può essere analizzato nelle sue dimensioni comunicative. Esso definisce infatti la dinamica appetitiva che idealmente unisce il soggetto all’oggetto di desiderio. L’atto di desiderare può avere molteplici significati per il suo oggetto: può essere una conferma di identità e di valore per l’altro; può connotarsi con invasività simbolica, emotiva o fisica, alimentando comportamenti socialmente ed eticamente inaccettabili, quali molestie o abusi di tipo corporale e psicologico; può negare il valore dell’altro, privando la relazione di un segnale forte di coesione. La natura dell’oggetto di desiderio e i modi con cui l’immaginario erotico ‘veste’ il desiderio stesso ci danno ulteriori informazioni su eventuali patologie del desiderio, quali per es. le perversioni sessuali. La valutazione del desiderio sessuale, e dei disturbi relativi alle sue variazioni in eccesso o in difetto, deve quindi tener conto di tutte le componenti. La prospettiva psicoanalitica lacaniana e socioanalitica Partendo dall’ipotesi freudiana e dalla sua abbondanza semantica, J. Lacan (1966) coglie la dimensione desiderante nella mancanza che il bambino prova una volta separato dalla madre, e colloca tale dimensione tra il bisogno e la domanda. Mentre il bisogno mira a un oggetto specifico e si soddisfa con esso, e la domanda esige anche un riconoscimento di ‘direzione’, rivolgendosi sempre all’altro, il desiderio cerca di imporsi senza tenere conto dell’altro. È proprio la nozione di altro che consente a Lacan la riformulazione della nozione di desiderio, chiaramente mediata dalla dialettica hegeliana servo-padrone. Il desiderio dell’uno, dice Lacan, trova il suo senso nel desiderio dell’altro; ciò permette di mantenere la distinzione tra il bisogno che è conscio, e il desiderio, enunciato nel sogno e nel sintomo, che è inconscio, per cui il bisogno si ‘soddisfa’ mentre il desiderio si ‘realizza’ compatibilmente con le difese dell’Io (spostamento, condensazione, sostituzione), che tendono a renderlo irriconoscibile. La dialettica lacaniana del desiderio trova la sua espressione nel linguaggio, la cui prima manifestazione è nel desiderio di sapere: l’altro, non è l’altro in carne ed ossa, ma è l’Altro, l’universo linguistico in cui il desiderio, per esprimersi, si deve inserire. In un diverso ordine di prospettive, W. Reich (1933) e H. Marcuse (1955) sviluppano un’analisi sociale del desiderio in chiave pseudomarxista, mentre G. Deleuze insieme a F. Guattari (1972), in polemica con l’analisi di Reich e Marcuse, e con Freud stesso, concepiscono il desiderio come una ‘macchina desiderante’, analoga alla macchina del lavoro, rimossa dalla repressione sociale per il timore del carattere rivoluzionario e sovversivo del desiderio.
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